Liberi di non crederci: per cause di forza maggiore non ho visto il finale di Cous Cous, il film francese che sta riscuotendo gran successo anche in Italia. Ho lasciato la sala quando Slimane, impotente, si becca gli insulti dei tre ragazzi che gli hanno rubato il motorino e lo sfidano dall’alto di un ponte ad andarselo a prendere. Le recensioni parlano di un finale formidabile senza dire ovviamente di cosa si tratti. Come finirà? Se mi fosse concesso direi che Cous cous finisce male. Slimane, operaio navale dimesso e dismesso, con doppia famiglia, non ce la farà a far sì che la festa organizzata
per trovare fondi e licenze per l’apertura di un ristorante su un barcone in disarmo si chiuda in bellezza. Slimane muore in una banale lite con quei teppisti armati. Oppure, sopravvive ai teppisti, per poco, muore lasciandosi dietro una scia di sangue. Il riscatto suo e della sua etnìa tentato invano utilizzando il cibo, il cous cous, appunto, fallisce in una cornice neorealista. Terza possibilità Slimane recupera il motorino, va alla festa e annuncia che non c’è cous cous, fine dell’avventura e vittoria dei protezionisti ristoratori francesi che monopolizzano il porto. Temo che il finale sia più lieto, ma non so di quanto. Temo di non volerlo sapere perchè comunque da quello che ho visto nelle oltre due ore senza finale il regista ha filmato la realtà com’è. L’integrazione è difficile, nemmeno i due fratelli russi capiscono certi codici della famiglia di Slimane, anche loro hanno tentato di sentirsi parte di, invano. E i francesi davanti alle dita di Fatima offerte sul vassoio dicono buone, sembrano crepes. Però se qualcuno mi vuol dire come è andata a finire davvero, non mi offendo, io sono qui.